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“Non sono un buon leader: sono troppo buono”

Ammettilo: ci hai mai pensato?

Hai mai associato la tua empatia ad una debolezza?

L’hai mai considerata un difetto, un limite, un ostacolo alla tua leadership?

Quindi per avere Leadership bisogna mettere da parte il cuore.

Il cuore non serve per esprimere una volontà forte. Per infondere sicurezza. Per guidare gli altri. Anzi: è d’intralcio.


Per essere un buon Leader servono altre doti: servono visione chiara, fermezza, decisionismo, strategia, abilità comunicative. Uno sguardo dall’alto e da lontano, come quello di Zeus dalla vetta dell’Olimpo.

Già.

E per tanto tempo il cuore è rimasto lontano dai luoghi del potere, relegato al rango inferiore e inoffensivo delle cose romantiche, filosofiche, inutili e inefficaci se non per poeti, artisti, madri, bambini, innamorati.

Avere troppo cuore acceca la ragione, indebolisce la volontà, esaurisce le energie, compromette la capacità di governare le situazioni. Non è certo col cuore che si dirigono le aziende e le organizzazioni, che si incrementano profitti, che si compiono scelte politiche. Quando si tratta di riuscire ed avere successo in grandi imprese mondane sono altre le risorse alle quali attingere. E se siamo troppo buoni, empatici, disponibili e solleciti rischiamo di fallire.

Eppure oggi sappiamo che il cuore ha un sistema nervoso, che conosce e trasmette informazioni, e ha un immenso potenziale di influenzare positivamente i comportamenti altrui. Che ha una sua Leadership specifica ed efficace.

Le neuroscienze hanno scoperto che disponiamo di una rete neurale complessa e funzionale anche nel cuore e nella pancia. Esiste, pertanto, un sistema nervoso specifico e sviluppato che può apprendere, ricordare e percepire, che può agire da sé e prendere decisioni indipendenti da quelle del cervello.

Il sistema elettromagnetico proveniente dal cuore, inoltre, emette un campo energetico che è 5000 volte più forte di quello del cervello e può essere rilevato sulla pelle degli altri fino a 3,5 metri. 

“Sulla pelle degli altri”. Forse non è poi così inutile. Forse vale la pena di approfondire e di chiederci se non ci stiamo privando di un patrimonio indispensabile per generare cambiamenti decisivi ed espandere il nostro potenziale di leadership. Per fare la differenza per un sistema più grande di noi.

Per fare questo, e recuperare davvero le doti e le capacità specifiche del cuore, dobbiamo tornare ai luoghi che la sapienza umana universale frequenta da sempre e da molto prima delle neuroscienze: dobbiamo tornare alle origini, alle immagini fondatrici. 

Dobbiamo tornare al mito.

Lo ripeto in tutti i miei testi e i miei corsi: per dipanare le matasse delle ‘cose umane’, comprese quelle che si presentano continuamente davanti agli occhi di manager e imprenditori, è necessario ritornare ai miti che hanno impresso per primi le loro figure nella nostra immaginazione, alle matrici, a ciò che ci appartiene come esseri umani ben prima dei nostri vissuti personali e soggettivi. 

E il nostro immaginario affonda le sue radici nel mito greco. 

C’è un nesso inscindibile tra vita e il mito: i nostri pensieri e le nostre azioni parlano il linguaggio del mito, le nostre vite quotidiane mettono in scena un mito. E’ lì che si svela il protagonista emozionale della nostra esistenza. Quello decisivo, quello che agisce in maniera più forte e potente di qualunque motivazione razionale. Quello che mette davanti ai bivi e determina i destini. No, non soltanto per le madri e gli innamorati: anche per i governi, le organizzazioni, le aziende.

Per rispondere alle domande decisive, i greci si sarebbero rivolti ai loro dei. Avrebbero chiesto quale dio avevano offeso, direbbe James Hillman. Avrebbero cercato la figura, il volto, la voce, il luogo trascurati.

Chi offendiamo / trascuriamo quando mettiamo da parte il cuore?

E come cambierebbero le nostre vite se trasformassimo così il nostro modo di pensare?

Il greco dei miti onorava Demetra, la dea delle messi, del nutrimento, l’immagine eterna della generosità e della cura degli altri, della comprensione, dell’amore incondizionato e della fiducia nelle possibilità umane. Fu lei a soffrire la disumana devastazione della perdita quando le fu rapita la figlia Persefone in nome della ‘ragione di stato’, ma fu sempre lei ad opporsi, con indicibile tenacia, allo strapotere di Zeus e degli interessi politici. Lei che piegò il suo volere e ottenne non soltanto la restituzione della figlia, ma anche riconoscimenti che non si erano mai visti prima di quel gesto, di quel “no” deciso e perentorio innescato dal cuore. 

Si dice che Zeus dopo divenne più collaborativo e illuminato.

Perché il signore dell’universo, il capo supremo, l’archetipo del re, molto poteva, certo, ma una cosa non la sapeva proprio fare: non sapeva far crescere il grano. Quando si trattava di far crescere e germogliare bisognava rendere onore a lei, a Demetra. Era lei a possedere l’energia vitale necessaria per far crescere e prosperare, la speranza e la fiducia indispensabili per aiutare e sostenere l’evoluzione di individui e comunità.

E come può un leader definirsi tale se non si fa carico fino in fondo di ciò che ama? Se non si occupa attivamente della crescita di persone e cose? Se non muove le posizioni più inamovibili per far valere ciò che conta?


La storia di Demetra, della sua vulnerabilità e della sua forza, ci mostra una via per aprirci alle possibilità del cuore. 

Fino a quando lo considereremo un punto debole, un ostacolo all’indipendenza, al successo, al governo di persone, imprese, stati, continueremo a privarci di una straordinaria riserva di energia vitale, di quella riserva di coraggio che attiva risorse – nostre e degli altri -, oltrepassa la paura e fa accadere le cose. 

Nel prossimo articolo, che uscirà martedì 1 Febbraio, analizzerò in che modo l’attivazione di questo archetipo ci può aiutare a far accadere le cose che non ci accadono.

Per esempio a fare la differenza per un sistema più grande di noi.


Autore: Lara Meroni – Copyright ©  Entelekeia srls, Tutti i diritti riservati.